Ordunque esisteva in una terra lontana, l’isola di Sicilia, un brigante ch’era gigantesco di corporatura, tanto che gli avevano dato nome, laggiù comune, di Santino, ma tutti lo chiamavano, in omaggio alla sua stazza, Santo (Santone no, perché per quello ci voleva una speciale dispensa del Don di cui si parla appresso, il quale era fortemente competitivo e difficilmente concedeva ad alcuno di fregiarsi di titoli e nomignoli accrescitivi). Di nome di famiglia faceva Trincullizzericchiandiopicciodelinuri e questa è l’ultima volta che lo citiamo se no ci finisce l’inchiostro.
Come detto, era un brigante di strada, con una tecnica tutta sua di fermare i malcapitati. Siccome era gran bevitore di Cirò e mangiatore di caponata di melanzane coi ciccioli, una considerevole epa gli si era formata, tanto ch’era più lungo che largo. Egli dunque si appostava, a gambe divaricate e mani sui fianchi, proprio in mezzo alla via di qualche stretto valloncello. Quando un ricco viandante a cavallo lo vedeva da distante, ben vedeva di avere spazio a sufficienza per passargli sia di un lato che dall’altro, fattosi anche sicuro dal fatto che non portava arma alcuna. Ma, appena l’avea a fianco, Santo di scatto si girava e schiacciava la vittima e il suo cavallo contro un roccione, facendosi forza di schiena contro il sasso opposto. Ottenuto il sacchetto di danari, effettuava una breve e rapida rotazione, indurendo la pancia, nella direzione da cui era giunto il rapinato. Il quale si trovava così proiettato lontano, come colpito da una forte schicchera di gigantesche dita, dando il tempo al nostro di dileguarsi.
Un’altra grande passione sua erano i fimmini, ca futtia fin a sfinimento. Insomma, per favvi capire, si trombava le donne fino a sfiancarle, se comprendente il sottile giro di parole.
Il guaio fu quando egli d’una pulzella fu preso di passione, ma trattavasi della figlia di don Tancredi Tisquarto, un gentiluomo che possedeva le terre lì attorno ed era noto per l’efficienza del suo sistema di riscossione dei tributi, basato sulla spontanea donazione di fronte alla presentazione di una balestra a frecce mozze appoggiata in fronte del debitore.
Ordunque il don se n’ebbe a male. Per la mancanza di rispetto, disse, ma in realtà, competitivo com’ebbimo a dire, non voleva tirarsi potenziali concorrenti in casa. Fu così che Santino fuggì e pur andando lontano, girandosi gli parea di veder all’orizzonte tre figuri ammantati in neri pastrani, a cavallo e con in testa dei caratteristici berretti siculi, detti coppole, perché lasciavano scoperta la nuca, affinché restasse fresca, ma proprio per questo chi la portava era soggetto a prendersi gran sberloni sul coppino (scoppole, appunto) da parte degli scimuniti di amici sua.
Una notte Santino incontrò un pastore che di molto gli era simigliante. Tanto fece e tanto disse che lo convinse di essere un gran mago, che poteva togliere il malocchio che il suo infausto nome gli arrecava, semplicemente scambiando col suo. Fu così che Natomale, detto Natale, divenne Santino, detto Santo e Santino, detto Santo divenne Natomale, detto Natale. In altre parole, se non avete capito, Santo prese il nome di Natale e Natale quello di Santo. Insomma, quello che prima era Santo poi divenne Natale e quello che prima era Natale divenne Santo. Be’, se ancora non avete capito, poi vi faccio un disegnino.
Sta di fatto che il giorno dopo, quando i tre picciotti inseguitori giunsero dal pastore, gli chiesero il nome. Questi, avvertito da Santino, sì cioè da Natale, quello che prima era Santino e poi divenne Natomale… Riassumendo, egli, il pastore, attendeva tre colleghi del mago che aveva incontrato il giorno prima, che di certo gli avrebbero portato doni, gli aveva assicurato, a conferma che la sventura era volata via. “Santino” rispose con entusiasmo. Non fece in tempo a finire la o che tre frecce mozze gli si erano conficcate nel cranio, scoperchiandolo come una pattumiera, se rendo l’idea.
Sulla sua lapide fu inciso “Natale, la sfiga ti ha abbandonato e subito sei morto Santo. Bel guadagno!”
Ma quali venture erano addivenute nel destino di Natale, che era stato Santo e anche Santino? Egli, per acquisire un incolmabile vantaggio, si era spinto lungo tutta la penisola fino a giungere, quali misteriose vie intreccia il destino con le nostre vite!, proprio alla grotta di San Ponzo, il quale in quel momento era assente, essendosi recato al convento delle Malcelate per un settimana di ritiro spirituale. Le pie donne videro l’omone trascinarsi, la vasta barba incanutita dalle traversie, la schiena ingobbita sotto una pesante sacca. Lo accolsero, lo rifoncillarono, poi lo spogliarono e lavarono tutto, immergendosi con lui nelle limpide acque del Semola. Il nostro, alla visione di tante grazie femminee, se ne ringalluzzì. Cosa che le pie donne non mancarono di notare, avendolo forse sperato, un po’ abbacchiate dall’interruzione delle consuete devozioni mattutine con San Ponzo. Finì che tutte assieme si gettarono nella piscina naturale, traendo ciascuna a turno godimento e nell’attesa intrattenendosi l’una con l’altra, cosa che giovava alle energie del nostro, il quale fu in grado di far compiere più di un giro di giostra, prima che il suo ruotare si fermasse.
Tutti belli distesi ad asciugarsi al fuoco nella grotta, le pie donne chiedevano il nome del nostro, che a volte diceva Santo e a volte Natale, un po’ confuso dall’esercizio e distratto dalla rilassatezza del momento.
Passarono così sette giorni e Ponzo si ripresentò alla grotta. Qual sorpresa e quale scorno a vedervi un altro se stesso intento nelle pratiche di devizione a lui riservate. Come un’aquila inferocita piombò sul gruppo avvinto e lo disperse, per trovarsi solo, faccia a faccia con il rivale in mutandoni.
Or bisogna sapere che Ponzo era uomo astutissimo e nient’affatto violento, quindi si mise a scrutare il rivale e a meditare.
“Come ti chiami?” chiese arcigno. “E che ne sacc’io? Alcune mi chiamano Natale, altre Santo. Per me fa lo stesso, basta che si…”. “Ho capito, Santo Natale!” lo interruppe San Ponzo. “Facciamo così. Questa è la mia grotta e ora te la sei presa. Uno dei due è di troppo. Ti propongo un duello: chi c’è l’ha più lungo resta, l’altro se ne va”. Il panciuto Natale valutò la struttura magra ma dai tendini tesi di Ponzo, paragonandola alla sua, gigantesca ma goffa e flaccida, quindi scartò l’idea di farla fuori a sberle e accettò. In fondo era certo del fatto suo, specialmente dopo una settimana di training erogeno. Si smutandò e si sentì il tonfo del suo batacchio che colpiva il suolo. A Ponzo piaceva vincere facile, ma non di umiliare l’avversario, quindi, smutandandosi trattenne buona parte dell’alltrezzo. Natale si allietò, non sentendo tonfo alcuno, salvo che qualche secondo dopo, quando il coso ponzano fin’ di srotolarsi attraverso lo spiazzo, andando a sbattere, con un sordo colpo di campana, contro il paiolo di bronzo da 40 portate di polenta posto sul focolare.
Natale, bisogna dire, fu assai signorile. Si ricompose, rivestì, prese solo la sacca con cui era venuto, salutò educatamente e si girò incamminandosi. Ponzo, colpito da tanto stile, “Aspetta, ho un affare da proporti” esclamò e lo condusse seco in grotta.
Da allora a Natale fu affidata la gestione delle Madonne Triviali [si veda relativo capitolo] dei monti dell’alta Valle Staffora, cosa che fu di reciproco vantaggio economico e, chiamiamolo così, devozionale.
Per anni le cose andarono avanti così. Ma Ponzo non aveva fatto conto dell’appetito delle devote né di quello inesauribile del compare siculo.
Ogni anno, quando Ponzo si recava alla settimana di ritiro con le Malcelate, le Madonne Triviali, che erano appunto Malcelate, si ritiravano, mentre le pie donne aspettavano impazienti. “Il Ponzo è andato e adesso arriva il Santo Natale”, si dicevano eccitate l’una all’altra. E Natale, avvertito dall’assenza di Madonne, puntuale si presentava. “È arrivato il Santo Natale. Viva il Santo Natale”, si sentiva dire per una settimana nelle case di tutto il paese e in grotta.
Per un po’ tutto procedette senza intoppi. Ma dopo qualche anno una serie di nuovi frugoletti, tutti panciutissimi, si era generata. E a loro le madri, quando arrivava Natale, dicevano loro “Se fai il bravo e non dici niente a Ponzo, arriva Babbo Natale e ti porta un regalo”.
Questa bella tradizione si è trasmessa ovunque e ancora oggi le madri di tutto il mondo dicono lo stesso ai figli, guardando un po’ di sottecchi i mariti, che così intendono di dover procacciare doni, mentre forse dovrebbero intendere altro.
Andò a finire che ad un certo punto Ponzo sgamò il movimento e questa volta non fu affatto disponibile con Natale. Il quale, non potendosi recare a Sud (sai mai che qualcuno là avesse buona memoria), varcò le Alpi con la sua barba bianca, sacca e panza. Erudito dalle passate vicende, ebbe la cautela di cambiare ancora nome, divenendo così di nome Klaus e di cognome Santa. Non sappiamo molto di ciò che seguì. Il fatto che in tutti i Paesi del Nord e in quelli slavi esista la tradizione di un Sankta Klaus che porta doni ai bambini ci fa ritenere che Babbo Natale abbia diffusamente rinnovato il sistema anche in quelle lande. Ciò sarebbe confermato anche dal fatto che fu là che furono fondati i cosiddetti conventi di clausura (o di Klaus ora), che pare alle origini applicassero in tutto e per tutto il canone delle Malcelate.