Ordunque risiedeva fuori Pavia, in località poi chiamata Certosa, un frate, tal fra Gaudenzio, detto del Nocino, data la sua abilità nel produrre gran quantità di tal liquore e di ottima qualità.
Egli ne vendeva, poco, per sostenere le sue esigenze terrene. Poco non perché gli bastasse poco per vivere, ma perché se lo beveva quasi tutto, sostenendo che in alcol e noci sono contenute tutte le sostanze necessarie al (buon) vivere.
Fra Gaudenzio era intimo di homini del suo stesso sesso, disdegnando le femmine, che egli dichiarava troppo vicine a Satana perché le sue umili forze e ancor più scarsa fede potessero adeguarvisi. Nota era la sua amistà con un militare, Ambrogio Dammilano, che venne poi fatto santo e patrono di una città più a nord. Anche a corte era benvenuto, data la sua vicinanza a un tale che descriveva con “c’ha un bell’ano” e che poi divenne una specie di segretario di stato, con titolo che richiamava la definizione di Gaudenzio.
Capitò che Gaudenzio decidesse di recarsi in collina, ove gli era stato detto trovarsi noci di ottima e abbondante produzione. Tali noci, che ancor oggi si trovano sulla via che conduce all’odierna San Ponzo Semola, portarono Gaudenzio a risalire la Valle del Semola, ove incontrò San Ponzo, che lo invitò a ritirarsi appo lui. Qui lo rifoncillò con salame varzese (ai tempi detto “verghese”, dato l’uso che Ponzo ne faceva del budello, prima di insaccarlo), che Gaudenzio gradì in sommo grado, al punto che ne fece giungere in pianura svariate tonnellate, contribuendo cosi in modo determinante alla diffusione del salame in Val Padana, ove era stato fin lì sconosciuto, e nel resto del mondo.
Gaudenzio ricambiò con abbondante Nocino, che Ponzo bevette a garganella, ad imitazione del frate. Dopo essersene scolati tre orci pieni a testa, San Ponzo e fra Gaudenzio si dichiararono fratelli di carne e spirito (alcolico) e iniziarono a frequentarsi, a turno recandosi presso l’altro è scambiando beni gastronomici, distillati e pure umani. Sì, perché, date le rispettive inclinazioni, trovarono conveniente inviarsi l’un l’altro rappresentanti del sesso a ciascun gradito, affinché ne facessero devoti e devote, dopo opportuna penitenza.
Un giorno Gaudenzio davanti e Ponzo dietro, ebbri come al solito, andavano passeggiando lungo lo stretto sentiero sull’argine di un grande fiume. Gaudenzio stava giusto dicendo che il Ciambellano suo amico l’aveva incaricato di attribuirgli un nome, che fosse poi valido per tutta la Valle, da Torino a Trieste. In tal fiume erano rimasti mostri marini, che una volta popolavano il mare che copriva la pianura. Un enorme tentacolo guizzò dall’acqua, carpendo al collo Ponzo, che, tentando di dire “polpo” (piovra era termine troppo dotto, mentre il polpo era animale a lui ben noto, dalla sua infanzia sull’isola di Ponza), ma riuscì giusto a dire “po…, il po…”, prima di venire trascinato e inghiottito dalle acque, scomparendo per sempre. Gaudenzio non fece in tempo a girarsi, che Ponzo era svanito, lasciando solo l’eco di quel “po” da lui emesso prima di morire.
Or è bene sapere due cose.
L’intera scena venne vista da un fanciulletto, tal Bepi Teppa, che corse in paese a riferire l’accaduto.
La seconda cosa da sapere è che Gaudenzio, che era sobrio solo appena sveglio e per non più di cinque minuti, aveva notevoli difficoltà a unire i frammenti dei suoi ricordi, per cui ne derivavano racconti spesso più dettati dalle sue convinzioni che dalla realtà.
Inutile dire che, quando Gaudenzio giunse in paese, narrò che San Ponzo era asceso al cielo (dipartito, disse, ma, per farsi capire dal popolo ignorante, corresse in asceso), lasciando come ultimo messaggio, in risposta alla sua domanda, un semplice monosillabo: po. Inutile dire che il popolo credette a Gaudenzio e non ad un ragazzino che faceva Teppa di nome e di fatto (racconterè in altra sede di come Bepi Teppa divenne capo della Banda della Teppa – muschio in milanese – e desse slancio ad uno stile di vita, il teppista).
“Po mi piace – disse il ciambellano, quando Gaudenzio gli raccontò gli accadimenti -. Breve, semplice, facile da ricordare e pronunciare in ogni dialetto lungo il fiume”. “E ricorda il nome del Santo: Po-nzo” disse entusiasta Gaudenzio, sempre più convinto che San Ponzo, prima di ascendere, avesse voluto invitarlo a ricordarlo attribuendone parte del nome al fiume, lasciando che “nzo” venisse riferito invece a stronzo, che è la forma di defecamento che solo le vacche varzesi praticano, invece della tradizionale buiassa (San Ponzo operò questo miracolo, di farle cagare in modo che la raccolta fosse più facile, per successivamente portarla a formare i bagni di merda termali o utilizzarla per speziare il salame).
Fu così che il fiume venne nominato Po e questa è la storia della dipartita di San Ponzo, nella versione gaudenziana-teppista.
NOTA IMPORTANTE
In seguito San Ponzo “riapparve” ai suoi devoti e sodali più e più volte. L’ultima volta ancora pochi giorni fa, quando è apparso in atteggiamento di meditazione, come da foto sotto.
Queste apparizioni ormai ci è chiaro non siano quasi mai propriamente del santo, ma di vari truffatori, che si sono spacciati per lui, per poterne godere dei benefici e soprattutto delle devozioni.
Questo ha ingenerato non poca confusione nella tradizione orale che noi riportiamo, ma, essendo noi relatori ossequienti della più assoluta oggettività, non abbiamo voluto smentire queste storie fino a prova contraria. Che, come è ovvio, è quasi impossibile da ottenersi, visto che si tratta di tradizioni orali.
Insomma, la nostra conclusione e raccomandazione è: credete e fate quel cazzo che vi pare.