Di come fu edificato in pietra il villaggio e la merda di vacca varzese divenne miracolosa.
Or è noto che le pie donne di Biagasco si erano di fatto trasferite alle falde della collina ove San Ponzo si era rifugiato (dando il la alla definizione di quelle persone che scappavano dai luoghi nativi e che da allora vennero chiamati rifugiati, cioè ri-fugiati, ossia più volte in fuga, come a Ponzo era toccato di fare da Roma alla nostra valle).
Le pie donne avevano eretto un accampamento di tende e i marmocchi nascevano copiosi, per cui si erano portate anche le vacche, per nutrire i figli, ma anche per essere più sollecite nel preparare caciotte e tagli di manzo con i quali omaggiare il santo. A furia di caciotte e manicaretti, che Ponzo era costretto a ingurgitare tutti, al santo, pur regolarissimo nelle sue funzioni di evacuazione, capitò di ingolfarsi, di imbarazzarsi la pancia, di avere un peso sullo stomaco.
Insomma, non cagava più, con sommo sconforto delle devote, che, come si sa, raccoglievano e facevano commercio della merda santa.
Venne dunque convocata una fattucchiera, tal Matilde Bucorotto, detta per motivi ignoti La Sativa, la quale preparò in un calderone un minestrone fatto con ingredienti la cui esatta composizione non è nota. A noi risulta che contenesse del nitrato e dell’olio di glicerina, forse zucchine e prugne secche, ma di più non sappiamo. È stato anche rinvenuta una pergamena, probabilmente redatta da Matilde stessa, che riportava parte della ricetta: “Il minestrone nel calderone si fa sol con peperone, ben schiacciato, a formar un pappone, con tre quarti di uno zuccone e un quartino di amarone (per chi ha sete mentre cucina: non va messo nel minestrone). Uno studio di un frate di Biagasco sostiene che nitrato sia un errore, poiché Matilde Bucorotto era amante dei cavalli e da loro estraeva il nitrito, a base di acido ascorbico e ricco di ferro che, essendo pesante, porta tutte le feci in fondo all’intestino.
Conciosiaccosacché San Ponzo fu indotto ad ingurgitare un’intera pentola di tal minestrone. Passò il giorno e nulla avvenne, per cui le devote si ritirarono all’accampamento per riposare. Ponzo se ne stava raggomitolato in un cantuccio, tenendosi la pancia e facendo ohi ohi. Quando si ritirò nella grotta, tentò di dormire, ma il dolore era troppo e continuava a rivoltarsi nel letto. Gira che si rigira, finì per miscelare a dovere i nitriti con la glicerina. A quel punto bastò la leggera vibrazione di una scorreggetta, per far reagire la nitroglicerina che gli si era formata in pancia (venne definita “una mossa avventata” o, più esattamente “a ventata”) .
Nel pieno di quella notte, grida e ululati sovrumani si udirono provenienti dalla valle del Semola. Tosto seguirono rombi che facevano tremare la terra e in cielo apparve un’aurora boreale, qual non si vedeva dai tempi della cosiddetta Tregenda di San Sebastiano (se ne veda la pagina dedicata). Passò poco che al tuonare continuo si aggiunse un frastuono di alberi abbattuti. Era la merda di San Ponzo, che al suo passare divelse le piante e spazzò l’accampamento. Le donne fecero giusto in tempo a portare i figlioletti sulle falde di un colle, ma nulla poterono fare per il bestiame, che rimase immerso fino al collo per giorni e giorni, riducendosi così a mangiare la merda di San Ponzo.
E avvenne il miracolo o la mutazione o quel che l’è: le vacche quasi cessarono di produrre latte e a loro volta cagavano copiosamente. Tutta la Valle era ricoperta di merda di varzese e a stento qualche spiga di grano, qualche alberello di mele ne emergeva. Quale non fu lo stupore di tutti, quando si resero conto che quei frutti e la merda stessa erano in grado di guarire ogni male, poiché i benefici del latte nelle varzesi vennero dirottati verso la materia fecale.
Il villaggio venne ricostruito, in pietra questa volta (a scanso di altre ondate), e gli si dette il nome del Santo, unito a quelli del torrente, che sempre da lui aveva preso nome (come altrove specificato nel sito) e tanta dovizia di benefici aveva arrecata.
Da allora a San Ponzo Semola si celebrò con riti dionisiaci quella notte miracolosa, che venne chiamata la Notte di Valpurga. Per la precisione, era la notte del 30 aprile, che San Ponzo considerava mese benedetto e pronunciava Àprile (con l’accento sulla a).
Matilde Bucorotto venne canonizzata (per l’esattezza “cannonizzata”, secondo il rito ponzano) da San Ponzo stesso, il quale, grato per la sua opera, ma timoroso che gli propinasse un altro minestrone, la inviò oltralpe, ove divenne Valpurga di Heindenheim, dalla quale i Bavaresi trassero il rito notturno.